Con il Reach […] dovremmo registrare tra i 200 e i 500 coloranti per azienda. Il costo medio di ognuno di essi è di 30mila euro, in alcuni casi si può arrivare fino a 200mila euro. Meno sono i registranti, più costa la registrazione. E’ un meccanismo che il regolamento fa funzionare così. E quindi si tratta di un problema di sostenibilità finanziaria per le Pmi italiane, ma non solo.
Incontro con l’assessore Daniela Toccafondi
Sono due le nostre linee guida: una politica, per portare alla luce la situazione di uno dei settori della chimica meno conosciuti e l’altra scientifica, per proporre soluzioni alternative sostenibili per le aziende coinvolte.
13 Marzo 2016 – Avvenire – Economia & Lavoro
Prato, 11 Febbraio 2016
Bisogna puntare di più sulla ricerca perché quello dei coloranti è ancora un settore con pochissimi dati a disposizione e vogliamo aprire un dialogo con tutta la filiera perché le conseguenze coinvolgeranno un sistema ben più ampio e strategico per l’economia.
E’ questo in sintesi il messaggio che abbiamo portato, come Dye-Staff, al convegno di Prato dell’11 febbraio scorso sulla sostenibilità e sulla riduzione delle sostanze chimiche pericolose.
Riportiamo qui di seguito il testo del nostro intervento.
“Cercherò di delineare brevemente il caso che coinvolge le PMI del settore dei coloranti.
In particolare, io porto qui la voce di 12 PMI Italiane (+1 operatore straniero) che operano nel campo chimico dei coloranti, la cui produzione è destinata ai settori del tessile, del cuoio e della carta e che si sono costituite in una cooperazione internazionale denominata Dye-Staff. La cooperazione si è costituita nel 2012 per fare luce sulla situazione del settore a seguito dell’entrata in vigore del Regolamento REACH.
Vorrei innanzitutto precisare che concordiamo perfettamente con le finalità del Regolamento che mettono in primo piano il miglioramento della salute umana e la tutela dell’ambiente, ma ciò non di meno vogliamo porre l’attenzione sulla NON SOSTENIBILITÀ per le PMI degli strumenti adottati per perseguire queste finalità, almeno a oggi.
Per fare questo, già nel 2012 abbiamo sottoscritto e presentato una petizione al Parlamento e alla Commissione europea e nel 2014 abbiamo presentato al Ministero della Salute e al Mise uno studio sull’impatto socio economico per queste PMI italiane della registrazione dei coloranti in base al Regolamento REACH.
Le autorità italiane competenti per il REACH hanno deciso quindi di presentare il caso a Brussels al Caracal composto dalle Autorità Competenti di tutti MS, la Commissione EU, l’ECHA e alcuni selezionati stakeholder e all’ESPG che riunisce i Ministeri dell’Industria degli Stati membri.
Facendo una stima, il costo medio per la registrazione di una sostanza, al di sotto delle 10 tonnellate, va dai 25 ai 35.000 euro, con punte fino a 200.000 euro. Una PMI di questo settore ha in media qualche centinaio di sostanze da sottoporre a singola registrazione ed è evidente che ognuna abbia interesse alla registrazione del maggior numero di sostanze possibile per poter restare competitiva sul mercato.
Questo dato da solo basta a inquadrare il problema: le PMI del settore non sono in grado di affrontare tali costi e l’applicazione del regolamento, così come è previsto al momento, mette seriamente a rischio la loro sopravvivenza e quella dei posti di lavoro che esse generano.
E’ vero che il regolamento tocca tutte le realtà produttive europee del settore, ma il problema è più che mai italiano data la peculiarità del nostro Paese, capofila nell’Eurozona per il valore delle PMI (oltre il 95%) e la indiscussa leadership del tessile in Europa .
Dunque, questo stato dei fatti ha delle conseguenze dirette:
- porterebbe alla chiusura di un centinaio d’imprese del settore in tutta l’Europa,
- alla perdita dei relativi posti di lavoro
- e a un ribaltamento dello scenario competitivo che lascerebbe sul campo solo i grandi player.
E’ questo che ha voluto il legislatore europeo nel momento in cui ha scritto il Regolamento? Noi non lo crediamo, pensiamo piuttosto che l’urgenza del principio di tutela perseguito abbia prevalso su un’attenta analisi delle possibili conseguenze. A conferma di ciò c’è l’attenzione che abbiamo ottenuto, in sede di Commissione Europea o di singoli suoi membri, ogni volta che abbiamo dimostrato, dati alla mano, lo scenario che si prospetterà da qui al 31 maggio 2018, termine ultimo per la registrazione presso l’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA).
Ho parlato poco fa di conseguenze dirette, ma vorrei attirare la vostra attenzione anche sulle possibili conseguenze indirette che finirebbero per coinvolgere l’intera filiera:
- a oggi una riduzione certa (pensiamo che possano essere almeno 200) del numero di sostanze registrate a causa degli alti costi da affrontare;
- aumento dei costi dei coloranti per la necessità di dover ammortizzare le spese affrontate per registrarli;
- riduzione della disponibilità di coloranti per i prodotti;
- conseguenze sull’occupazione per la filiera in Italia;
- aumento delle importazioni di articoli finiti contenenti sostanze non registrate, con conseguente riduzione della qualità e della sicurezza dei prodotti;
- riduzione della sicurezza in alcuni posti di lavoro.
Ci sono poi ambiti nei quali queste conseguenze indirette avrebbero un maggior risalto, ambiti che rappresentano un’eccellenza per il nostro Paese. Mi riferisco al settore moda.
Qualche giorno fa parlavo con il responsabile di una redazione giornalistica e – raccontandogli questo caso – gli dicevo: pensa se ciò per cui siamo famosi in tutto il mondo, la creatività del made in Italy, dovesse fare improvvisamente i conti con la scomparsa di alcuni colori.
Sarebbe come chiedersi se l’Art Nouveau avrebbe potuto avere tanta fortuna senza la brillantezza e la capacità evocativa del Victorian blue o senza gli altri toni accesi, quasi innaturali che dovevano trasmettere energia in chi li osservava.
Crediamo quindi che le ripercussioni sulla filiera e sulla moda debbano essere un punto di riflessione comune perché la questione non riguarda solo alcune piccole imprese del settore chimico, la cui chiusura potrebbe interessare a pochi stakeholder, ma coinvolgere un sistema ben più ampio e strategico per l’economia del nostro Paese.
Dunque è per questo che stiamo lavorando attivamente per aprire un dialogo con i più importanti brand della moda italiana.
Vorrei concludere sottolineando il nostro impegno ad aprire il maggior numero di finestre possibili su di un settore che ha pochissimi dati a disposizione.
Noi lo stiamo facendo investendo in prima persona nella RICERCA, in particolare con l’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano.
Grazie alla ricerca possiamo determinare per algoritmi e non per test su vertebrati i valori di riferimento per molte sostanze che altrimenti non potrebbero essere registrate.
Obiettivo principale della cooperazione Dye-Staff , lo ribadisco, è la sostenibilità dei costi di registrazione al regolamento REACH e questo può esser fatto attraverso lo sviluppo di dossier per famiglie.
L’approccio che proponiamo in ogni sede – dalla Commissione europea al Ministero della Salute, ai media, a questa giornata di studio – è quello di individuare le famiglie di coloranti che possono essere raggruppate sulla base delle loro caratteristiche comuni, che dovrebbero essere rilevanti dal punto di vista tossicologico, ecotossicologico e ambientale.”
13 Gennaio 2016 – Corriere della Sera – La Nuvola del Lavoro
